Chi mi conosce sa che ho una rara passione per i fumetti di Alessandro Baronciani. Quando ho scoperto che BAO Publishing avrebbe fatto uscire una nuova edizione di Le ragazze nello studio di Munari mi sono subito chiesta: cosa ci sarà di diverso rispetto alla prima edizione (che ovviamente conservo gelosamente)?
In generale mi è sempre piaciuto rileggere i libri che ho amato, e anzi tendo a rileggere quelli infinite volte, a distanza di tempo: tendo a immedesimarmi, a trovare somiglianze con la mia vita attuale e al mio passato, a riconoscere i personaggi e a romanzare addirittura i miei ricordi. Rileggere significa quindi far riemergere alcuni pensieri che avevo provato leggendo la storia le volte precedenti, ogni volta in precisi momenti della mia storia.
Sfoglio il nuovo Le ragazze nello studio di Munari non appena mi arriva a casa, cerco l’edizione 2010 e non mi trattengo da fare i confronti, pagina per pagina, per scoprire cosa Alessandro ha cambiato e immaginarmi il perché.
Intanto, i dettagli macroscopici, come la copertina con i dettagli geometrici, gli inserti interni in carta da lucido e le pagine a colori dedicate a Antonioni (con il bellissimo ritratto di Monica Vitti) sono ancora presenti, così come la mitica pagina con la pecora tattile di Munari – anche se ha cambiato forma. E poi ci sono sia l’oblò nella porta, sia il biglietto di addio di Chiara.
I capitoli hanno ora dei titoli che aiutano a scandire la storia, così come l’aggiunta di frasi alla voce “fuori campo” del protagonista, che aiutano a capire meglio alcuni dettagli, prima lasciati più in sospeso. Alcune altre frasi sono invece cambiate in modo da dare una sfumatura nettamente diversa al loro significato; altre ancora scompaiono, perché non ritenute più essenziali per capire ciò che l’autore vuole comunicare. Per quanto riguarda le tavole, alcune sono state eliminate, altre ridisegnate, per cambiare l’inquadratura.
Perché sto entrando così nel dettaglio? Perché ho provato a immaginare come sia stato riprendere in mano un fumetto dopo tanti anni, rileggerlo e correggerlo, perché a distanza di tempo non solo la nostra percezione di lettori cambia, ma necessariamente anche quella del suo autore.
La trama della storia non cambia, così come quella sensazione di tempo sospeso che non so bene definire.
I fumetti di Baronciani sono fatti di poche frasi, di scene descritte unicamente con la voce narrante e altre che si espandono in tante tavole. In tutti i casi questa sensazione di tempo sospeso, se da un lato mi fa divorare i suoi lavori in poche decine di minuti, dall’altro mi lascia un sacco di stimoli in testa: i ricordi emergono e stanno a galla per un bel po’. Si tratta di una sensazione strana, che forse non so spiegare bene, ma che è probabilmente il motivo principale per cui adoro i suoi lavori, che poi è il motivo principale per il quale (come in pochi altri casi) scrivo di qualcosa raccontando anche così tanto di me stessa.
I libri raccontano storie.
I libri usati raccontano anche altre storie.
Chi li ha regalati, quando, in quale occasione o ricorrenza, dove si sono fermati. In che posto li hanno letti.