Craftivism è un neologismo che unisce le parole “craft + activism” (artigianato + attivismo) e secondo la definizione breve che si può leggere sul sito dedicato al movimento:
Craftivism è un modo di guardare alla vita, una modalità in cui l’espressione delle opinioni attraverso la creatività rende la propria voce più forte, la propria comprensione più profonda e la ricerca della giustizia più grande.
Craftivism è anche un bellissimo libro, uno di quelli che tutti noi appassionati e professionisti di craft e creatività dovremmo avere in casa, da sfogliare e leggere di tanto in tanto per trovare l’ispirazione giusta per continuare nei nostri mestieri creativi: raccoglie 33 testimonianze di craftivist che vivono in tutte le parti del mondo e che raccontano la loro esperienza.
L’autrice è Betsy Greer, crafter e attivista, laureata al Goldsmiths College di Londra con una tesi dedicata alla cultura DIY e allo sviluppo della community attorno ad essa. Il suo primo libro Knitting For Good! (Roost Books, 2008) è una guida all’uso del fare a maglia e della creatività in generale al fine di migliorare la tua vita, quella delle persone che vivono nella tua comunità e in tutto il mondo.
Come ho scoperto il craftivism?
Io ho scoperto il craftivism grazie ad un viaggio in Indonesia: nell’estate 2014, preparando la partenza, mi ero messa in testa che volevo cogliere l’occasione della vacanza per scoprire la scena DIY locale, perché sapevo che si era sviluppata velocemente alla fine del regime dittatoriale e, soprattutto, all’epoca del nostro viaggio era appena stato eletto il primo Presidente metallaro della storia umana. Mi sono detta: dev’essere un segno!
N.B.: quando parlo di scena DIY intendo tutta una serie di espressioni creative, dalla musica punk ai graffiti, dagli orti urbani alle ciclofficine, dall’editoria indipendente alle riparazioni sartoriali, a tutte quelle forme nate oltre 30 anni fa in un’ottica anticonsumistica e oggi diventate davvero mainstream, insomma.
In ogni caso, grazie al super poter di internet ho conosciuto Tarlen Handayani, una brava rilegatrice che vive a Bandung (Java), che anima la grande comunità DIY indonesiana, viaggiando spesso da un’isola all’altra per coltivare connessioni e crearne di nuove. Evidentemente Tarlen è stata di grande ispirazione per me, per tanti motivi.
Intervista a Tarlen Handayani
Come e quando hai iniziato la tua attività di rilegatrice?
Ho deciso di focalizzarmi sulla rilegatura, dopo aver frequentato un corso presso Etsy, a Brooklyn nel 2008: mi trovavo a New York grazie a una borsa di studio dell’Asia Cultural Council, che mi ha permesso di restare da aprile ad agosto 2008 negli Stati Uniti per seguire un programma sullo sviluppo del pubblico museale. Nell’estate ho lavorato anche come volontaria a Brooklyn ed è in quell’occasione che ho potuto attivare connessioni con la comunità locale e con Etsy.
La rilegatura è diventata la mia passione, perché amo tenere un diario e adoro scrivere su quaderni a pagine bianche, non così facili da trovare a Bandung, la mia città, e quindi ho deciso di farmeli da sola, a mano.
Cosa significa per te il tuo lavoro?
Ad un certo punto mi sono resa conto che tenere un diario poteva essere anche un canale attraverso il quale diffondere un messaggio di alfabetizzazione, chiedendo alle persone di scrivere i propri pensieri: condivido questa mission con Tobucil & Klabs, il negozio che ho co-fondato a Bandung, che supporta il movimento locale.
Sto insegnando attivamente rilegatura dal 2012: il mio obiettivo è quello di diffondere questa conoscenza e creare una comunità di rilegatori. Si tratta di un’attività poco diffusa in Indonesia e quindi voglio diffondere questa tecnica, nella speranza che qualcuno dei miei studenti si appassioni quanto me e possa diventare un futuro partner per sviluppare nuove abilità e formare una community.
Ecco perché viaggiare è un aspetto così importante del mio lavoro!
Infatti in tre settimane che abbiamo passato in Indonesia, ci siamo incontrate due volte in due città (e su due isole!) differenti! Ma per te viaggiare significa molto di più, vero?
Esatto, l’insegnamento non è il solo scopo per cui viaggio: mi impegno per la maggior parte del tempo a mappare la scena craft locale in ogni città che visito, perché è fondamentale per la community che sto sviluppando e per il programma di Tobucil.
Il principio di base del creare community o una rete locale di artigiani è come fare amicizia: a volte è necessario fare visita ad un amico solo per dire ciao e mantenere viva la connessione. E, dato che io non ho alcuno sponsor che copra le mie spese di viaggio, l’organizzazione di workshop di rilegatura mi permette di autofinanziare la mia attività di networking.
Grazie Tarlen!
Durante il nostro viaggio, grazie a Tarlen, abbiamo avuto l’occasione di conoscere un sacco di artisti, artigiani e attivisti indonesiani e di respirare la buona aria che si respira da quelle parti grazie a tutti questi ragazzi.
Puoi leggere il nostro resoconto su Yogyakarta Underground sul nostro blog di viaggi carapaucostante.it
Per approfondire sul lavoro di Tarlen (oltre al libro Craftivism, sul quale c’è un suo contributo): Impactful Craft Producer on Being a Dignified Merchant, l’intervista che Tarlen ha rilasciato a Hera Diani su magdalene.co.
In conclusione: qualche riflessione
questo post nasce al mio rientro dal WeeKenDoit, dove ho fatto il pieno di nuove conoscenze, rinsaldato amicizie e fatto un po’ di sano networking. Proprio in quei giorni ci siamo chieste tante volte, con alcune amiche, cosa voglia dire fare community, cosa significhi davvero farne parte, anche alla luce del nostro esempio (Creativi in rete e non solo) e di quelli che vediamo intorno a noi. Mi è sembrato quindi il momento perfetto per raccontarvi la storia di Tarlen, che in Indonesia porta avanti un progetto di community davanti al quali si può tranquillamente impallidire.
Perché non si tratta di gné gné, moine e simili ma di vero e proprio CRAFTIVISM.
Qui vorrei far partire un lungo discorso di quelli che alcuni di voi conoscono (anche detto pippone) sul fare rete, sull’importanza delle connessioni, su quanto sia necessario crederci *davvero* e anche essere disposti ad investirci tempo e soldi, ma cercherò di essere breve.
Perché non è assolutamente sufficiente dire di voler fare community e poi pensare esclusivamente ai propri interessi. Come in tutti gli ambiti, essere parte di un gruppo significa prima di tutto aver chiaro in testa cos’è che noi possiamo dare agli altri, prima (molto prima) di pensare a ciò che potremmo ricevere in cambio.
Perché fare rete non dev’essere qualcosa che conviene fare, ma qualcosa che si sente davvero dentro.
E allo stesso tempo non è qualcosa che si deve fare a tutti i costi, perché ci va tempo per trovare le persone giuste con cui condividere ideali, obiettivi, progetti e sogni. La community dev’essere inclusiva, ma non a prescindere: e fare selezione non è essere snob, molto spesso significa semplicemente che quegli ideali, obiettivi, progetti e sogni sono così preziosi e chiari nella tua testa che non li può svendere in cambio di popolarità.
Ok, il pippone l’ho fatto lo stesso: ora tocca a te, se sei arrivato a leggere fino a qui dimmi cosa ne pensi nei commenti :)
PS: per saperne di più anche sul craftivism, cerca i tanti gruppi e le tante pagine su Facebook, per renderti conto di cosa fanno i craftivist in giro per il mondo!
Ciao Paola, il tuo post mi ha molto scosso. Nel senso buono ovviamente! Non ho la tua esperienza sul web ma pian piano che la mia piccola attività artigianale cresce mi rendo sempre più conto che non posso farcela da sola. Avere le capacità o le buone idee non basta, si ha bisogno di connessioni, interazioni e collaborazioni continue. Mi pongo sempre dalla parte di una che ha tanto da imparare dagli altri ma ho anche tanto da dare. Credo profondamente nel l’handmade e nelle attività artigianali portate avanti con il cuore. Spesso però ci scontriamo con la realtà, non veniamo prese sul serio. Non tutti hanno interesse a condividere purtroppo, la rete è immensa e ci sono tanti squali. In ogni caso non demordo, continuo a studiare, leggere e informarmi, penso che il Craftivism sia il nostro futuro. Complimenti per questo articolo, per la tua grinta e la tua preparazione. Sicuramente partecipare attivamente agli eventi ti aiuta a creare le connessioni giuste, io purtroppo con due bambini piccoli sono molto statica, mi muovo poco. In ogni caso sono sempre alla ricerca di collaborazioni e credo nella condivisione di intenti e realtà nei campi del craft e l’artigianato. leggo tanto e lavoro da casa e ci credo, voglio credere nella potenza della rete. Ti seguo con grande ammirazione, a presto!
Valeria
Grazie Valeria! Per fortuna c’è anche internet che ci aiuta: le distanze si accorciano e, anche se i momenti dal vivo sono sempre necessari, la quotidianità si nutre proprio di contatti online!
Lo sai già (che altrimenti non saresti la mia buddy in Creativi in rete e nel Torino Craft Collective), ma io credo davvero tanto in quello che scrivi. Ci credo a livello teorico e me ne innamoro un po’ di più ogni volta che riusciamo a metterlo in pratica, perché ad esserne accresciuta è la forza interiore di tutti. Lo sai già, ma volevo che rimanesse scritto nero su bianco anche sotto il bellissimo post che hai scritto. Tarlen non può che essere un esempio per noi. Chiudo con il mio brindisi preferito, fatto in nome della famiglia creativa, diffusa sul territorio forse, ma inquilina di una stessa casa: il web. Non ci si ama sempre, si litiga, ci si allea, si discute, ci si innamora, proprio come in una famiglia. Ma il cognome di tutti è Creatività.
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